27.1.13

GitaAlFaro

La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto è... 42. Sì, ci ho pensato attentamente è questa, 42. Certo sarebbe stato più semplice se avessi conosciuto la domanda.
(Douglas Adams - Guida galattica per gli autostoppisti)


Ce l'avete voi un sogno ricorrente?
Io sì. Ricorrentissimo. È talmente ricorrente che negli anni si è specializzato, per cui ora esiste in 3 versioni: Bel sogno - Incubo - Madonna che sogno strano che ho fatto.
Ma gli ingredienti sono sempre gli stessi.

C'è una casa, spesso la casa in cui vivo al momento del sogno, ma può essere anche una in cui ho vissuto in passato. Nel sogno scopro degli spazi che non conosco, come una stanza di cui non mi ero accorta e oggetti che non sapevo di possedere. Sono epifanie felici, del genere "toh, abitavo in una villa e non me ne ero accorta". Possono essere, anche se è più raro, persino scoperte di poca importanza, del tipo "oh guarda, possiedo una batteria di pentole da 12 pezzi in acciaio inox. Chi l'avrebbe mai detto?".
Quando mi sveglio ci metto un po' a realizzare che quello che ho sognato non esiste. A volte la sensazione continua anche durante la giornata e mi viene voglia di tornare a casa a controllare, magari quello che ho sognato esiste davvero e io, distratta, non ci avevo mai fatto caso.
Oggi per esempio ho sognato che la mia nuova casa era molto più grande di come io pensavo. Aveva un giardino pensile che collegava il mio piccolo attico ad una casa moderna, con un grande salotto e una cucina decisamente abitabile. Anche il giardino era molto grande. E nel sogno pensavo "ah bene, allora vedi che lo spazio c'è? Adesso invito a cena un sacco di gente tutta insieme". 

Nella realtà, mi sono da poco trasferita in un piccolo attico nel centro di Barcellona, abbarbicato a un quarto piano senza ascensore di un vecchio palazzo del Born, con delle scale talmente strette e ripide che il tipo che mi ha aiutato con il trasloco ha detto, sospetto con una certa ironia, "brava, ti sei trasferita sulla torretta di un faro". La torretta in questione, oltre ad essere di difficile accesso, si caratterizza per il suo grande charme. Cioè ha una bella terrazza (per quanto in pendenza) ma soprattutto è piena di personalità e priva di ogni comodità moderna, a partire dal riscaldamento, una rarità a Barcellona, fino al forno, che non entrava nel minimalista angolo cottura. Ora ho un fornetto elettrico, una stufetta elettrica, e tanto freddo. Ma ho una casina deliziosa e piena di charme, e che vuoi di più? Forse la febbre, ma ci stiamo lavorando.
Quanto alle mega cene che organizzo nella mia vita onirica... per il momento rimangono un sogno. L'attico l'ho affittato semi vuoto. E nel frattempo ho realizzato che acquistare oggetti per la casa è una faccenda noiosa e complicata, ancor di più quando qualunque oggetto deve essere trasportato per 4 piani e milioni di ripidi scalini. Per il momento ho 1 tavolo, 3 sedie, 4 piatti, qualche posata e poca fame. Poi vedremo.

In questo freddo gennaio mi sono chiesta più volte "perché ho scelto questa perla vintage invece di una casa più comoda, e più calda?". Sono una donna che lavora, diamine, potevo concedermi qualche lusso, tipo un ascensore o, volendo esagerare, addirittura il riscaldamento. 
Ma sospetto che sia stato proprio il suo carattere in bilico ad attrarmi qui. Questa casa è precaria, ecco cos'è. 
Il lavoro precario mi faceva sentire precaria, of course, altrimenti non avrei neanche aperto questo blog. Ma adesso sono due anni che il mio contratto non ha una data di scadenza. Eppure forse precaria lo sono ancora...
Perché ho sempre più domande che risposte. Perché preferisco il dubbio alle certezze monolitiche, i punti interrogativi ai punti fermi. Sono precaria perché forse il precario mi attrae: mi piacciono le case scricchiolanti, le serate improvvisate e le persone che ti confessano ridendo che il senso della vita non l'hanno ancora capito. Sono precaria perché io non c'ho ancora capito niente, della vita, dell'universo e di tutto quanto.
La precarietà è uno stato d'animo, e ha i suoi lati affascinanti. Forse un giorno passerà e vorrò una casa comoda, delle risposte pronte, delle certezze incrollabili. Intanto ho la casa che ho, e i sogni che faccio. E li metto in dubbio ad ogni momento, ovviamente. Sennò non vale.

Una volta mi hanno detto che questo sogno ricorrente è molto bello, significa - se ho capito bene - che il mio inconscio vuole aprire delle porte interne, esplorare lati del mio carattere che non sapevo di possedere, e che mi piacciono. O qualcosa del genere. 
Non so se è vero, ma effettivamente mi capita spesso quando comincio qualcosa di nuovo, piccolo o grande che sia. E allora apro le porte, vedo che c'è spazio anche per me e vado. Almeno in sogno.
Tutto sommato non è male.

Ah. Per chi fosse interessato, la versione incubo prevede che arrivo in una casa in cui ho abitato in passato e che non mi facciano più entrare. Ma è un sogno meno ricorrente. E mi fa molta meno paura che sognare di dover andare a scuola a fare il compito in classe di matematica. 
Non dover più fare compiti in classe di matematica è una delle cose belle della vita. Su questo non ho nessun dubbio.


IL PLUMCAKE DELLO SPAZIO (EXTRA)
500 grammi di farina
4 uova
250 grammi di zucchero
150 grammi di burro
1 bustina di lievito
1 bicchierino di rum
100 grammi di uvetta
2 limoni


Ora che ho fatto pace col mio essere precaria, potrei fare pace anche con il mio essere cuoca, nonostante il fornetto elettrico. Che poi oh, non è niente male. Si scalda subito, sforna torte rispettabilissime ed è talmente piccolo che ricorda il Dolce Forno. Come non amarlo?
E una mattina, svegliandomi dopo il sogno ricorrente, potrò guardare il cielo di Barcellona, sentire i rintocchi della campana della Cattedrale a pochi metri da qui, infornare un plumcake ed essere davvero felice per qualche quarto d'ora. Che poi di questo si tratta, alla fine.

Metto l’uvetta a bagno in un po’ di acqua tiepida e accendo il forno a 180°C (io che ho il fornetto posso aspettare un po' ad accendere, 'che quello si scalda in un attimo). In una ciotola mescolo il burro con lo zucchero e un pizzico di sale e poi unisco i tuorli dell’uovo uno alla volta fino ad ottenere un composto spumoso. Unisco la buccia grattugiata dei limoni, poi li spremo e unisco anche il succo all'impasto. Aggiungo poco a poco la farina e poi l'uvetta strizzata. In un'altra ciotola monto a neve gli albumi con un pizzico di sale, poi li unisco delicatamente all'impasto. Aggiungo anche il lievito sciolto in mezzo bicchiere di latte e il bicchierino di liquore. Quando il composto è ben amalgamato lo verso in uno stampo da plumcake ben imburrato e infarinato. Lascio cuocere per circa 50 minuti poi lascio riposare qualche minuto nel forno spento. Sforno, aspetto che si raffreddi, levo dalla teglia e cospargo di zucchero a velo.


Questa ricetta l'avevo presa su internet milioni di anni fa, leggermente modificata e poi salvata come documento di testo. Per cui non ho la fonte, mi spiace. Se l'autore capita su questo blog sappia che a Barcellona può venire a bussare al mio faro, gli offro una fetta di questo plumcake (che è veramente buono) e un caffè. Sono quattro piani a piedi e una volta arrivati in cima al faro si soffre un po' il freddo. Ma forse ne vale la pena.


Playlist onirica

Louis Armstrong- Dream a Little Dream of me 


4 commenti:

  1. che fascino deve avere questo tua casa in cima al faro, un giorno passerò a salutarti, e spero in una bella fetta di plumcake. Baci!

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  2. un bel sogno davvero. Io sono precaria, sia dentro che fuori, ma questo tuo post mi ha donato un po' di serenità! :)

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  3. Sembra davvero affascinante questa casetta, perche non metti qualche foto??

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  4. Consolati... noi siamo in Empordà e abbiamo affittato una casa-torre (era la più economica esistente sul mercato) su 4 piani. Quando devi andare in bagno ci ragioni su almeno 5 minuti prima di affrontare le scale... però è divertente!

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