22.3.10

PuntoPerPunto


Saro’ rapida.

1- Come non tarderete ad accorgervi, sto utilizzando una tastiera spagnola, per cui posso scrivere España quante volte voglio ma adiós agli accenti italiani. Questo ci porta diretti al punto numero
2- Non ho il computer con me. Il caro vecchio portatile romano ha tentato il suicidio pochi giorni prima della mia partenza (sara’ stato il suo modo di dirmi addio?). Ora e’ in cura intensiva nella capitale, vediamo se riusciro’ a recuperarlo o se dovro’ sobbarcarmi l’investimento di nientepopodimenoche un nuovo computer. E qui arriviamo al numero
3- Sono in un locutorio, cioe’ in un internet point. Arrivata fin qui solo per l’amore che ho per voi, ‘che sono le 20.35 e la vostra eroina e’ un po’ stanca (e il locutorio un po’ squallido) perche’, roba da matti, mica sta qui a ballare la macarena. Cio’ ci conduce al
4- Sto lavorando. Anche abbastanza, a dire il vero. ‘Sti spagnoli ci danno sotto col trabajo. E io prima delle nove e’ difficile che arrivi a casa. Il venerdì abbiamo mezza giornata, ma al venerdì ci devi arrivare vivo. E non so perche’ ma il word spagnolo del locutorio da cui vi scrivo ha in archivio la parola venerdì, in italiano e con l’accento giusto. Posso scrivere quindi venerdì ed España quante volte voglio. Bene, andiamo al
5- Non e’ una novita’, ma voglio ripeterlo: Barcellona e’ bella. E’camminabile. Cioe’ e’ bello camminare qui. E, suppongo, sara’ ancora piu’ bello quando smettera’ di avere un clima londinese, a tratti finlandese. Perche’ si, la vostra eroina e’ sbarcata in citta l’8 marzo, il giorno della grande nevicata che ha messo in ginocchio l’efficentissima rete di trasporti catalani insieme al mio, gia’ traballante, sistema nervoso. E si’, avete letto bene: Barcellona-neve-marzo. Non succedeva da non so quanti anni. Hanno aspettato me per il bis (sara’ stato il loro modo di dirmi benvenuta?). La mia valigia carica di ghirlande di fiori e ciabatte infradito si e’ rivelata quindi di sconcertante inutilita’ qui in riva al mare del caliente Mediterraneo. Tremanti di freddo e un po’ esauriti concludiamo col punto
6- Non e’ solo bella, Barcellona e’ anche metrabile, nel senso che c’e’ una metro sconfinata, roba che voi umani (anzi voi romani) non potete neanche immaginare. E la vostra eroina, dopo una vita in sella a un motorino, si ritrova qui a macinare ore nel sottosuolo della citta’. Che e’ un osservatorio privilegiato sul mondo, ma neanche questa e’ una novita’. Non perdiamo altro tempo e finiamola qui.
Appena recupero un computer vi aggiorno con dovizia di dettagli su questo e su tanto altro. Che questa citta’ non e’ solo bella e metrabile e io ho la testa piena di parole e voi, grazie, mi aiutate a mettere ordine nelle emozioni.

Hasta pronto.



RICETTA LEGGIBILE

E’ tardi, sono nel locutorio e sprovvista di accenti. Niente ricetta. Vi lascio pero’ con un estratto da un libro di Manuel Vázquez Montalbán (quello di Pepe Carvalho, per capirci) che sto leggendo in questi giorni. Si chiama “Los mares del sur” (I mari del Sud).
Casi della vita, nel libro c’e’ una descrizione bellisima di quello che si prova, spesso, guardando gli altri passeggeri nella metro. Il libro e’ ambientato a Barcellona come quasi tutte le storie di Carvalho, ma in questo caso non e’ importate. Il pezzo che qui vi incollo e’ una descrizione meravigliosamente scritta, amara e un po’ pessimista che vale per ogni metro, per ogni passeggero, in ogni angolo del mondo.

Io ancora non sono ne’ amara ne’ pessimista, mi godo l’osservatorio sul mondo con gusto e sorrido agli sconosciuti dalle facce tristi. Ma il brano e’ comunque meraviglioso e ve lo voglio regalare. E’ in spagnolo, qui nel locutorio le mie possibilita’ di ricerca on-line sono, capirete, piuttosto limitate. Se la lingua di Cervantes vi e’ totalmente inaccessibile forse potete trovarlo in italiano o, ancora meglio, comprarvi il libro. E’ un libro di tanti anni fa, si trovera’ in giro in edizione straeconomica.

Se invece ve ne intendete di ñ e compagnia (o volete provarci), eccolo qui:



"El metro, cualquier metro, es un animal resignado a su esclavitud de subsuelo. Parte de esa resignación impregna los rostros aplazados de los viajeros, teñidos por una luz utilitaria, removidos levemente por el vaivén circular de la máquina aburrida. Recuperar el metro fue recuperar la sensación de joven fugitivo que contempla con menosprecio la ganadería vencida, mientras él utiliza el metro como un instrumento para llegar al esplendor en la hierba y la promoción. Recordaba su cotidiana sorpresa joven ante tanta derrota recién amanecida. Recordaba la conciencia de su propia singularidad y excelencia rechazando la náusea que parecía envolver la mediocre vida de los viajeros. Los veía como molestos compañeros de un viaje que para él era de ida y para ellos de vuelta.
Veinte o veinticinco años después sólo era capaz de sentir solidaridad y miedo.Solidaridad con el viejo barbado de tres días y vestido con traje bicolor, con una mano enganchada al skay pringoso de un portafolios lleno de letras protestadas.Solidaridad con las cúbicas mujeres samoyedas que amurcianaban una incoherente conversación sobre el cumpleaños de tía Encarnación. Solidaridad con tanto niño pobre y pulcro llegado tarde al obsoleto tren emancipador de la cultura. Ejercicios del lenguaje. Diccionario Anaya. Muchachas disfrazadas de Olivia Newton-John, en el supuesto caso que Olivia se vistiera aprovechando las liquidaciones fin de temporada de grandes almacenes de extrarradio. Muchachos con máscara de chulos de discoteca y músculos de condenados al paro. Y a veces la reconfortante osamenta de un subejecutivo de inmobiliaria con el coche averiado y el propósito de utilizar transportes públicos para adelgazar y ahorrar para medios whiskies de mediana calidad, servidos por un insuficiente camarero con caspa y uñas negras sin otro encanto que saber llamarle a tiempo don Roberto o señor Ventura. El miedo a ser todos víctimas de un mediocre y fatal viaje de la pobreza a la nada. El mundo era un paisaje de estaciones semejantes a retretes sucios recubiertos por azulejos tiznados por la invisible suciedad de la electricidad subterránea y de los alientos agrios de las masas. La gente que subía y bajaba parecía cumplir el ritual de un relevo previamente acordado para justificar el rutinario ajetreo de la máquina. Carvalho subió de dos en dos los escalones de metal mellado y cariado para salir a una encrucijada de anchas calles embutidoras de camiones prepotentes y autobuses deshormados. Que se note tu fuerza. Vota comunista. Vota PSUC. El socialismo sí tiene soluciones. Contra el reformismo. Vota al Partido del Trabajo. Los carteles ocultaban insuficientemente muros de ladrillos prematuramente envejecidos y de rebozados apedazados. Sobre las vallas publicitarias la pulcritud rica de la propaganda gubernamental: El Centro cumple, como una propuesta de vacaciones pagadas. Y por encima de la artesanal propaganda militante, de la sofisticada propaganda de un gobierno de jóvenes leones con el pelo cortado a la navaja por un barbero de firma, cerca ya del cielo color de barato metal fundido, rótulos triunfales comunicaban: Está usted entrando en San Magín.”
(Manuel Vázquez Montalbán. Los mares del sur. p. 109-110)







8.3.10

DiCani&DiAltreAmenità

Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi, e sul coraggio dei tuoi polmoni.
(Jesse Owens)




"Cori Nano, cori."
A dover correre, rigorosamente con una r sola, è un incrocio tra un bassotto e chissà quale altro miscropico meticciato canino. Nano, mai nome fu più adatto, è il cane del fruttarolo del vicolo trasteverino dove ho vissuto per 5 anni e 4 mesi, in un palazzo dal portone verde a Vicolo del Buco (e mai indirizzo fu più adatto a descrivere le dimensioni di una casa).

Sotto le finestre del buco, dicevo, scorrazza il fruttarolo, ormai in pensione, e Nano.
Che Nano basta vederlo per capire che con quelle gambette corte e storte sarebbe incapace di corere anche se volesse. Ma il fruttarolo non molla, ci crede, "namo un po', forza, cori dai", il suo Nano gli sembra un levriero, un spirito leggiadro pronto a spiccare il volo, la reincarnazione di Jesse Owens. O forse, più probabilmente, non ha molto di meglio da fare che gridare "cori Nano, cori" tutto il giorno, tutti i giorni, dalle 8 del mattino fino al tramonto, senza eccezioni.

Per 5 anni e 4 mesi, ogni mattina, i miei risvegli sono stati scanditi dalle rumorose esternazioni del fruttarolo, e dalla pazienza di Nano che guarda immobile il suo padrone incitarlo ad improbabili attività ginniche. Tutto il giorno, tutti i giorni, dalle 8 del mattino fino al tramonto.
E dalla pazienza di tutti gli altri, 'che il fruttarolo ha un cane poco sportivo ma ha una voce possente, e tutta Vicolo del Buco e dintorni lo sente quando passa, e tutti si chiedono "ah fruttaro', ma 'sto Nano, secondo te, 'ndo voi che va?".
E chiedete a Nano, e alla sua santa pazienza, se non è così.

Il mio aereo parte domani alle 16.40. Dopodomani mi sveglierò a Barcellona. E ora, nella notte prima della corsa, mi chiedo chi accompagnerà adesso i miei risvegli spagnoli. Quali voci sentirò dalla strada? Vivrò in una casa silenziosa e dovrò riabituarmi alla quiete? O forse i vicini avranno un cane bassotto che cercheranno di far correre? Si chiamerà Nano?

Io intanto corro, con ben due r, Trastevere è già lontana, un buco nella memoria, e penso a cose strane. Alle vicende di Nano, che mi mancheranno, vai a capire perché. Mi mancheranno come i sanpietrini sbilenchi su cui romperti i tacchi, come il colore grigio-verde-muffa del Tevere, come gli insulti della gente nel traffico, come le commesse scortesi nei negozi, come il caos di questa città matta e rumorosa, dove non si corre mai ma dove inciampi sempre.

Come i vicoli minuscoli del centro che scopri un giorno per caso, come l'odore di pane che esce dai forni la notte, come la storia che suda da ogni pietra, come i prati verdissimi di Villa Pamphili e la casa dei miei, come le foglie sul lungotevere in autunno, come le colonie di gatti appoggiati sulla città con prepotenza, come i giri in motorino per le strade deserte quando le strade sono deserte, come i tavolini dei bar dove incontri i tuoi amici e ti dici sempre le stesse cose ma le stesse battute ti fanno ridere sempre.
Come i tramonti assurdi di questa città bellissima. La mia città.


Niente ricetta oggi. Solo il mio abbraccio e il mio grazie. Che devo dire grazie a un sacco di gente, ma coi discorsi tristi non sono brava io.
Che poi non è manco un discorso triste, che Nano è sempre lì che non core, che io vado solo dietro l'angolo (per altro contentissima), che le persone importanti corrono con tutte le r al posto giusto. Corrono con me. Che loro non mi mancheranno affatto, perché non le sto lasciando.
Ma questo, ecco, è un discorso che non so fare. 

Buone corse, ci sentiamo da dietro l'angolo.
CP


p.s. quello nella foto è il portone verde del Vicolo del Buco da dove per 5 anni e 4 mesi ho aspettato invano che Nano iniziasse a corere. La foto l'ho scattata il giorno che mi sono chiusa quel portone alle spalle per l'ultima volta, e ho iniziato a correre.
Nano nella foto non c'è, ci sono i gatti del quartiere. Ma questa è un'altra storia.