31.12.10

L'Eredità

Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo
(Alan Kay)

Ci siamo. Poche ore e saremo scaraventati nel futuro alla velocità di un tappo di spumante saltato troppo in fretta. Futuro che questa volta non è solo un anno nuovo ma nientepopodimenochè un nuovo decennio. Grandi novità all'orizzonte, quindi.
Il 2010 resiste ancora, ma i botti di capodanno scandiscono il ritmo della marcia trionfale: le barbariche orde dell'Armata Lenticchia sono alle porte. Il 2010 è spacciato. Dead year walking. 
Come ogni condannato a morte si merita l'ultima sigaretta e la benedizione poco convinta di un prete stanco. Come ogni anno che muore, muore da solo, tra il sollievo generale di chi rimane. Nessuno sente la mancanza dell'anno che agonizza; tutti aspettano il 2011, armati di atomiche aspettative e barricati dietro la certezza che tutto cambierà, oh se cambierà. Il nuovo anno non è ancora arrivato ma ha già sulle spalle la tremenda eredità di tutti quelli che lo aspettano. Un compito difficile il suo. Quanti delusi lascerà sulla strada? Quanti lo ringrazieranno tra 12 mesi? Lo ameranno più dell'anno che oggi, solitario e un po' sfigato, se ne va tra una selva di fischi e qualche banale malinconia? 

8.12.10

MeMyself&Pinco(SpecialGuest:LaDeaBendata)


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Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male.
(Eduardo De Filippo)




Mia sorella maggiore ha una teoria. Ne ha più di una, in effetti. Saggia e vaticinante come solo le sorelle maggiori sanno essere, ha una teoria su quasi tutto. Ma le va riconosciuto che spesso ha ragione. E che spesso noi incaute sorelle minori riconosciamo troppo tardi quanta ragione avesse. È l’ingrato destino delle sagge sorelle maggiori, suppongo. Trattandosi poi di un delizioso esemplare di testardissimo scorpioncino, le rare volte in cui mia sorella non ha ragione è bene evitare di farglielo notare, si perde solo tempo. Lei ha ragione comunque (ed è adorabile così).
Dicevo, mia sorella maggiore ha una teoria: sostiene che io non debba dire cose come “ah, che sfiga che ho avuto” o “ultimamente non me ne va bene una”. Queste affermazioni, se ho capito bene, creano una specie di autoconvincimento negativo. Ti senti sfigata, ti vedi sfigata e ti convinci che tutto va male e tutto andrà ancora peggio. O qualcosa del genere. Una sindrome di Paperino, tipo.
In effetti il ragionamento fila, ed è supportato dalla saggezza popolare espressa nella teoria del bicchiere mezzo pieno. Sono una ragazza fortunatissima, quindi. Andiamo ora a vedere perché.

12.10.10

DammeNuVaso


sandonIn generale, ogni paese ha la lingua che si merita.
(Jorge Luis Borges)

Piove, tira vento e fa freddo. L’autunno è arrivato. Succede anche nelle migliori città.
Affronto la nuova stagione con uno smagliante raffreddore. E la mia gola arrossata, strano a dirsi, mi ricorda casa più dell’immagine di un tramonto sul Cupolone.
Nel film “Il mio grosso grasso matrimonio greco” il padre della protagonista teneva sempre il Vetril a portata di mano: per pulire il parabrezza, contro le bruciature, per le punture d’insetto…
Il Vetril di casa nostra è, da sempre, l’Oraseptic: il vero e unico rimedio contro i mali del mondo. Ti senti poco bene? Fai gli sciacqui con l’Oraseptic. Ti sei già ammalato? È perché non hai usato l’Oraseptic. Che poi l’Oraseptic sarebbe semplicemente un collutorio, un antisettico del cavo orofaringeo, utile quando ti brucia la gola, e basta. Ma provate a dirlo a mia madre. Per lei l’Oraseptic è la panacea. Sul serio, dovrebbero pagarla per l’attività di marketing (piuttosto invasiva) che da anni svolge in difesa degli sciacqui nel mondo.

24.9.10

ImpressioniDiSettembre







Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite.
(Richard Bach)




Il vento di settembre mi ha sposato una sorella, un’altra. Le cedo sempre un po’ malvolentieri queste sorelle mie, che sono state per me, la più piccola, i pilastri della mia infanzia, e non solo. Ma poi le vedo svolazzare verso un nuovo destino, e non posso che essere contenta. E augurargli un buon volo.
Io sono in patria e svolazzo nel suolo natio, che ritrovo così come l’avevo lasciato. Tutte le strade portano a Roma, ma una volta a Roma stai attento alle strade. Guidare nella Capitale è un’esperienza scioccante, se non sei più abituata.

7.9.10

NoSoloDeRumbaViveElHombre


The times they are a-changin'.
(Bob Dylan)





Il 30 agosto questo blog ha compiuto 3 anni. E dico 3.
L’8 settembre compio 6 mesi di vita barcellonese. E dico 6.
Se me ne intendessi anche solo un po’ di numerologia sbancherei al lotto. Ma non me ne intendo.
Ma veniamo a noi. Sono sparita indecorosamente, lo so. E voi mi immaginavate su una spiaggia al tramonto a bere mojito e ballare rumba catalana, lo so. Ma non ve ne intendete di telepatia. Ad agosto, sotto il sole inclemente di Barcellona, la vostra eroina si arrabattava per trovare una casa. Altro che mojito, tutt'al più un po’ di rumba.
Deve essere che i catalani hanno le gambe molto lunghe, o che camminano molto veloci. Fatto sta che in praticamente qualunque annuncio leggi “a 10 minuti da Plaza Catalunya” (il centro). Poi vai a vedere sulla mappa e sta a 10 minuti dall’aeroporto, o dal monastero di Monserrat. O dal centro sì, ma quello di Sant Cugat del Vallès.
Comunque è stata dura e ho camminato molto - altro che 10 minuti - ma ora ho una casa. Una casa vera, con le finestre, le porte e il bagno (optional questi non sempre inclusi), e una coinquilina che non è sociopatica e non ha nè cani nè gatti (la sociopatia e gli animali più o meno domestici sono invece optional spesso inclusi nelle case in affito). In più, sono a 20 minuti onesti da Plaza Catalunya. A piedi, in bici molto meno. Sono diventata un’insospettabile amante delle due ruote, quelle a pedali. Bastano una manciata di piste ciclabili, un servizio efficente di bike sharing e una città senza sette colli e voilà: un’ex trasteverina motorinista incallita e stressata si trasforma in una pacifica biciclettara. L’altro giorno sono tornata dal lavoro in bici. 6 chilometri amici. Occhei, 3 sono in discesa. Ma insomma, sono sempre 6 chilometri.
A proposito di 6, sono qua da 6 mesi, roba da matti. I 6 mesi più veloci della storia. Avrei tante riflessioni sociologiche sulla vita catalana da condividere con voi, tutte di sconvolgente intensitá, ma vivo dentro una centrifuga. Questi non sono 6 mesi normali, sono 6 mesi supersonici. Prendi le tue cose, la tua casa, la tua vita e metti tutto nel cestello a 900 giri. Ecco, è così che sto. Rimando quindi le riflessioni sociologiche a momenti più pacati, o almeno alla fase dell’ammorbidente. Intanto accontentatevi di sapere che a Barcellona non esiste la liquerizia pura, nè i finocchi. Si può vivere anche senza, tutto sommato, ma fa strano quando te ne accorgi. Ci sono zucchine e la zucca, di varie forme, c’è tutto l’anno, ma i fiori di zucca no, mai. In compenso hanno una strana ossessione per gli asparagi, sia verdi che bianchi. Al supermercato trovi scaffali pieni di asparagi in salamoia. Tutto ciò sospetto voglia dire qualcosa, nasconde un significato profondo, un po’ come le mie riflessioni sociologiche di sconvolgente intensitá. Aspettiamo, quindi, per capire.
Riguardo ai 3 anni di CuocaPrecaria, sono stati veloci anche quelli. Non centrifugati, ma comunque veloci. Ma anche qui, non è il momento di pacate riflessioni e in ogni caso, già l’ho detto, non mi intendo di numeri. E comunque qualche perla sociologica su cosa significa avere un blog e su com’è la vita quando sei una CuocaPrecaria credo di averla già disseminata, qua e là. Se poi in questi 3 anni non siete stati attenti, be’, mica è colpa mia. Non telepatici e disattenti, bei lettori che mi ritrovo.
Scherzo, siete meravigliosi come sempre e sappiate che se esco dalla centrifuga e scarabocchio a fatica qualche pensiero è solo per voi.
E poi del resto ognuno ha i lettori che si merita.


CENTRIFUGA, ARACHIDI E ALTRE AMENITÀ
Filetto di maiale
Burro di arachidi
Miele
Salsa di soia
Cipolla
Olio

Vivere a Barcellona senza liquerizia pura ma con il burro di arachidi ha un senso nascosto, no? In ogni caso, mi sono ritrovata con un burro di arachidi per la prima volta nella vita. Seguendo fedelmente la filosofia della centrifuga, ho semplicemente scaraventato il burro di arachidi sulla prima superfice commestibile che ho trovato. E il risultato è stato sorprendetemente buono. Be’, la vita nella centrifuga ha anche i suoi lati positivi.
Taglio mezza cipolla e la faccio rosolare in un po’ d’olio. Poi aggiungo la carne tagliata a striscioline, faccio saltare, aggiungo il miele e sfumo con la salsa di soia. Lascio colorare un po’ la carne e aggiungo il burro di arachidi, all’inizio poco (un cucchiaino per etto di carne, tipo), se poi vedo che il sapore mi piace aggiungo. Se il burro di arachidi è molto denso aggiungo poca acqua in padella. Lascio cuocere per circa 20 minuti a fuoco lento.
E questo è quanto, almeno per il maiale in salsa d’arachidi.
Sulla centrifuga, i 6 mesi, i 3 anni e tutto il resto, seguiranno aggiornamenti.

Playlist a 900 giri
Albert Plá - Salsa pal nene
Bob Dylan - The times they are a-changin'



26.8.10

SiamoAncoraQui

Accalorati, sfiancati e in via di trasloco verso un nuovo tetto barcellonese, ma qui.
Il mese di agosto è trascorso in cyberminuti. Velocissimo, come del resto un po' tutto ultimamente. Sono quasi 6 mesi che sono qui, come è possibile?
A parte il tunnel temporale in cui mi trovo, non ho neanche internet a casa.
Da settembre sarò di nuovo collegatissima e tutta per voi. Abbiate pazienza.

6.7.10

Mano-A-Mano


La costanza di un'abitudine è di solito proporzionale alla sua assurdità.

(Marcel Proust) 

Il lupo perde il pelo, il precario no.
Quando hai passato gli ultimi anni della tua vita a pascolare in campi di vacche magrissime, ci vogliono ben più di una manciata di stipendi per farti perdere certe vecchie abitudini.
Come l'ex fumatore che di notte sogna di accendersi una paglia e la mattina quando si sveglia ha paura di aver ricominciato a fumare, come l'ex grassa ormai magrissima che ancora tira in dietro la pancia quando le fanno una foto, come l'ex galeotto che, ormai cittadino integerrimo, ancora tiene gli occhi bassi quando incontra un poliziotto; così l'ex precario, ancorché felicemente stipendiato, si sente ancora con un piede nella povertà.
E così io, CuocaPrecaria in quel della Spagna, mica ho tanto smesso di sentirmi precaria (anche se mi auguro di non esserlo mai più). Ce ne vorrà di tempo prima che. Un bel po', direi a occhio. 

Oggi tornando dal lavoro all'improvviso ho pensato: "potrei andare a fare una manicure". È  stato un brivido, tipo organizzare un fine settimana last minute in Nuova Zelanda, fare shopping con Paris Hilton, invitare a cena Lapo Elkan. 
Pensare di andare a farsi le mani da un'estetista così senza motivo è un pensiero rivoluzionario, per una come me. Nella mia esistenza di brillante laureata, masterizzata e titolatissima precaria, io la manicure non me l'ero fatta mai. Giuro. 
E così, sulla scia di questo impeto di lusso sfrenato, mi avvio a passo sicuro verso il mio smaltato destino. Ma poi, perché il lupo perde il pelo ma noi no (e la ceretta ce la facciamo sempre a casa), i miei incerti passi non mi hanno portato in uno qualunque dei mille centri estetici, più o meno invitanti, che popolano Barcellona. I miei precari passi mi hanno depositato davanti al posto più scalcagnato della città, davanti a un parrucchiere dall'aria decandente. Davanti a un centro estetico cinese, per dirla tutta.
Entro e vengo accolta da 40º di aria immobile, un'unica cliente alle prese con dei colpi di sole e una manciata di cinesine sedute compostamente su delle poltrone. Lampioncini di carta rossi appesi al soffitto (i centri estetici cinesi hanno l'arredamento incredibilmente simile a quello dei ristoranti cinesi), improbabili poster di donne, ovviamente cinesi, che sorridono con orientale saggezza e qua a là delle macabre teste di manichino ricoperte da parrucche anni 80. Sono a casa. Una delle cinesine scatta in piedi appena mi vede entrare e, ti ti, terto che poi fale manicule (anche in spagnolo parlano così, incredibile), mi accomoda su uno sgabellino minuscolo di fronte ad un altrettanto minuscolo tavolino. La cinesina ha un vestito nero di raso dall'aria economica ma, nelle intenzioni, elegantissimo e delle scarpe nere di vernice con il tacco a spillo. Approfitto di una sua distrazione per accendere un ventilatorino da strapazzo che trovo nei paraggi mentre l'elegante, almeno nelle intenzioni, cinesina va a prendere l'occorrente per fare belle le mie mani. Torna con una trousse fucsia tipo quella che usano le quindicenni per i primi trucchi e si mette laboriosamente all'opera. Non ha l'aria espertissima. Nel frattempo dal retro sbuca un'altra cinese, anche lei elegante nelle intenzioni e con i tacchi. Mentre la mia cinesina armeggia con del coton fioc per togliere dalle mie unghie le sbavature di smalto che lei stessa mi sta procurando, esce dal retro anche un ragazzo che saluta la tipa di prima, quella elegante nelle intenzioni, con un rotondo e allegro ciao, pronunciato in perfetto italiano. È italiano, a dirla tutta. Figurati dove non li trovi questi. 
Alcuni strati bozzoluti di smalto e altri tizi dopo, realizzo che la prima manicure della mia vita l'ho fatta in un centro massaggi. Che tipo di massaggi siano e perché la mia manicure sembra fatta da una principiante, sono domande che non hanno risposta. Per tutto il resto ci sarebbe Mastercard ma noi, per sicurezza, teniamo ancora i soldi sotto il materasso.


SAGGEZZA CINESE
Gnocchi cinesi
Carote
Zucchine
Porri
Arachidi
Salsa di soya
Olio

Plendiamo insegnamento dalla vicenda di nosla amica cuocaplecalia: glandi cambiamenti avele bisogno di tempo, no possibile smettele di essele plecali da un giolno all'altlo, pelché plima che fuoli si è plecali dentlo.
Ecco, ora che ce l'ha detto anche il saggio cinese, possiamo stare tranquilli. Dobbiamo aspettare, un giorno smetteremo di sentirci precari. Forse.
Nel frattempo impariamo l'arte dell'attesa preparando gli gnocchi cinesi, che vanno lasciati in ammollo almeno 10 ore, ma se li lasci di più è meglio. Passato questo tempo, scoliamo gli gnocchi e nel frattempo facciamo saltare le verdure tagliate a julienne in una padella con un po' d'olio. Appena si sono ammorbidite aggiungo gli gnocchi, le arachidi e la salsa di soya e faccio saltare per un altro paio di minuti.
Io e le mie bozzolute unghie rosse vi ringraziamo per la cortese attenzione. La prossima volta che decido di andare da un parrucchiere così senza un motivo, per favore, fermatemi.


Playlist delle mani
Rino Gaetano - A mano a mano

21.6.10

OkComputer





Mai fidarsi di un computer che non è possibile gettare dalla finestra.
(Steve Wozniak)






Notti magiche inseguendo un gol (degli altri). Barcellona ha poco più di un milione e mezzo di abitanti, di cui un 20% sono stranieri. Vivere un mondiale qui è come fare un afterhour alle Nazione Unite. 

23.5.10

MaSoprattuttoNavigatori













La visió del Mediterrani constitueix per mi una necessitat.
(Antoni Gaudi)



Il tuo vicino di casa è sparito? Il tuo bar di fiducia ha chiuso all'improvviso? Il tuo commercialista non risponde più al telefono?
Non chiamare "Chi l'ha visto?", sono qui con me. Se vuoi te li saluto.
Santi, poeti e navigatori, ma soprattutto navigatori. Il popolo italiano ha invaso la Catalogna. Un arrembaggio. Il sacco di Barcellona. Ci manca solo un tricolore a sventolare sul tetto del palazzo comunale e un monumento a Marcello Lippi in Plaza España e per il resto la città è nostra.
Roba che poi leggi su Repubblica le lamentele dei leghisti su “gli immigrati che vengono in Italia a rubarci il lavoro” e ti viene da ridere. Abbiamo intasato le strade di Barcellona di precari, artisti improvvisati, quarantenni in fuga, ricercatori che cercano una borsa di studio, discotecari in cerca di movida, archittetti in cerca di Gaudì, musicisti in cerca di band, creativi in cerca di idee e anime perse in cerca di sé stesse. Non manca più nessuno, solo non si vedono i due liocorni.
Questa invasione racconta, tristemente, di noi, della nostra crisi, di un popolo smarrito che si cerca altrove. Perché in Italia ormai trovi poco. E molti degli italiani che sono qui non sono venuti ad ammirare la Sagrada Familia o a mangiarsi una paella sulla spiaggia. Sono fuggiti dal disastro. Ma tant'è, ora siamo qui. Praticamente tutti. E in fondo, l'approdo dopo il disastro non è niente male (e la paella è buona).

E io che temevo di sentire la mancanza dei miei connazionali. Il giorno della partenza ho declamato sconsolata il mio addio ai monti, moderna Lucia dei Promessi Precari, e come il Foscolo di RyanAir ho mormorato Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Roma mia. Ho pianto le lacrime amare di chi si accomiata dalla terra natale, con già in tasca la nostalgia della mia lingua materna, dei sapori di casa e della vita italica. 
"Lucaaaaa, dove sei? Non ti sento, non c'è campo", queste le prime parole udite appena sbarcata all'aeroporto. Sono qui da due mesi, e ancora non sono riuscita a fare un qualunque tragitto dal punto A al punto B della città senza sentire parlare in italiano, o spagnolo con accento italiano. Ragazzi non scherzo, siamo la comunità di stranieri più numerosa di Barcellona. E nessuno sembra intenzionato ad andarsene. 

Il catalano, la lingua di qui, la lingua di questi poveracci assediati da un'invasione di italiani, ancora non lo sto studiando (datemi tempo). Lavoro in italiano e lo spagnolo lo parlo poco, spesso con altri stranieri come me. In compenso credo che in un paio di mesi parlerò con scioltezza bresciano, salentino e torinese. Ciarea Madamin.
Va be', mi rassegno ad essere l'italiana numero 23.546, o qualcosa del genere. Il che però mi che sottrae parecchio fascino esotico. Mi leva il gusto della diversità. La solita italiana. Ah, eccone un'altra. Potrei spacciarmi per finlandese e vedere come va. "Di dove sei? Di Helsinki. Ma Helsinki Helsinki o qualche paese vicino?" Sì, mi pare che funzioni. 

Per il resto, sono qui da due mesi, ma questo l'ho già detto. E non so se mi sembrano pochi o se mi sembra che sto qui da una vita. Non capisco niente, tutto mi vortica intorno (non solo gli italiani) e gira gira gira. Avrei voluto scrivere tante volte, raccontare. Dire di me, dire di Barcellona, dire degli italiani a Barcellona, dire dell'italiana numero 23.546 appena sbarcata in città. Ma per scrivere devi capire e io sono intenta a smaltire troppe emozioni per capire come sto. Cioè: sto bene, questo sicuro. Però non puoi cambiare vita da un giorno all'altro e pensare di farla franca. È comunque uno shock. Bello, ma uno shock. Non puoi cambiare contemporaneamente casa, città, nazione e lavoro senza avere almeno una crisi d'identità o una crisi di panico o una crisi di fame. O tutto insieme. È bello ma è comunque una crisi, nel senso etimologico di questa parola a noi italiani tanto cara: cambiamento, punto di rottura. Non puoi arrivare fischiettando al Cambiamento. Al Cambiamento ci arrivi inciampando, coperto di graffi e lividi, stordito e confuso. Poi ti guardi intorno e vedi che va bene, che sei ancora vivo. Respiri e vedi che tutto è ok. 
Ma non puoi sottovalutare il Cambiamento, lui non sottovaluta te.  Alcune mattine mi sveglio e non so dove sto, davvero. Certi giorni mi sento una turista e cammino con l'aria ebete di chi si è perso in una città bellissima. Altre volte vado al lavoro in metro e mi sembra di esserci andata sempre, con quella metro, a quel lavoro. Certi momenti mi sento persa, altri integrata in una pace superiore, un nirvana da dove guardare il mare e sentirti bene. Altri giorni mi mancano i miei amici, da morire. La mia casa. Le mie parole. Il mio mondo. Mi manca tutto. Penso che non ce la faccio, che non sono forte abbastanza, che tutte queste emozioni, tutte insieme, io non le reggo. Ma alla fine penso ma chissenefrega io sto a Barcellona e guardo il mare e mi sento bene e prendo la metro e vado al lavoro e mi perdo con aria ebete in una città bellissima e tutto ha un senso, che non sempre so qual è, ma mi piace. 

Ora scusate, vado a studiare il finlandese.



PANINO APOCALITTICO
Prosciutto
Pomodoro
Olio d'oliva
Pane tipo baguette

Gli italiani a Barcellona, fondamentalmente, sono di due tipi: apolicattici o integrati. Gli apocalittici stanno qui, non pensano di tornare in Italia ma in compenso passano il tempo a lamentarsi: il pane spagnolo non mi piace, l'olio spagnolo non mi piace, il pomodoro spagnolo non mi piace, il prosciutto spagnolo non mi piace. Li vedi aggirarsi con aria schifata per i supermercati, costretti a cibarsi di queste porcherie. Hanno lo sguardo sognante quando parlano dell'olio di casa loro, ridono come bambini ricordando i tempi felici nella pizzeria sotto casa e possono discutere per ore della differenza tra De Cecco e Barilla. Della cucina di qui non salvano nulla. Muoia Sansone e tutti filistei, loro qui, dicono, sono ostaggi di una tortilla de patatas incarognita. Vivono a Barcellona da anni ma parlano, sdegnati, uno spagnolo elementare, praticamente un italiano con la s alla fine. Barcollano a volte gli apocalittici, ma non mollano. Assediati da alimenti di scarsa qualità rimangono qui. Malmostosi e inappetenti, ma qui.
Anche gli integrati stanno qui, non pensano di tornare in Italia e per loro tutto a Barcellona è meraviglioso, compreso il cibo. Gli integrati sono fuggiti inorriditi dal suolo natio, l'Italia è un paese allo sbando, provinciale e senza futuro e gli italiani una massa di tonti che parlano solo di cibo. Loro indietro non tornerebbero mai, e hasta la tortilla siempre, anche quando è strafritta. Gli integrati non parlano spagnolo, parlano solo catalano, perché quella è la vera differenza tra essere un turista e vivere qui. Gli integrati snobbano gli altri italiani, tranne gli altri italiani integrati, con cui parlano in catalano (i catalani, quelli veri, snobbano apocalittici e integrati in massa; è il loro modo di difendersi dall'invasione). Balbettano a volte gli integrati - mica facile il catalano - ma non mollano. Sgrammaticati e incompresi, ma qui.
E poi ci sono quelli come me, che tutto gli vortica intorno e che non sanno che pensare e sono confusi e felici e persi e nirvanici e allegri e soli e troppi ma sempre guardano il mare. E, sopratutto, adorano il prosciutto spagnolo, che il cielo lo protegga. E i catalani, i nostri padroni di casa, che il cielo li aiuti, al prosciutto ci aggiungono il pomodoro, spappolato sul pane insieme all'olio. Che è una cosa geniale, pomodoro e prosciutto insieme sono un prodigio, credetemi. E gli italiani, quelli apocalittici, quelli integrati e quelli 23.546, brontolano, balbettano e vorticano ma a pane, prosciutto e pomodoro non dicono mai di no.
E siamo tutti qui.


Playlist italiana 23.546
Mannarino - Svegiatevi italiani
Giulia y los tellarini - Barcelona
Carmen Consoli - Confusa e felice

22.4.10

TecnoLoco

Siete liberi di non crederci. In effetti non ci credo neanche io. Presente il famoso computer morto, resuscitato e poi trasportato, con fatica, fino alle terre Iberiche perché facesse di me una donna libera e online?
Be’, è morto di nuovo. Roba che neanche Lazzaro. Domani chiamo un esorcista.
A questo punto si apre la campagna:
“Un pc per CuocaPrecaria. Non lasciare che si spenga la sua voce, contribuisci all’acquisto di un nuovo portatile per la tua precaria preferita. Invia un sms al…”

Sarà una maratona televisiva condotta da Lorella Cuccarini e Carlo Conti.

Che vi pare?
Chi vuole, intanto, può cominciare spontaneamente a mandare fondi. Fornisco iban su richiesta.

3.4.10

SantaPazienza

Presto arrivera' un nuovo post, insieme alle mie 33 primavere, a un fine settimana che passero' in Italia e al mio vecchio, caro, pc che, resuscitato, tornera' ad assistermi e verra' con me in terra straniera.
Presto avro' quindi di nuovo una tastiera italiana, un sacco di accenti, e la possibilita' di comunicare con il mondo.
Non male, no?

Intanto sono qui, splende il sole e la pasqua catalana si preannuncia affascinante.
E anche questo non e' niente male.

Avrei tanto da raccontare ma tra 2.58 minuti scade la mia connessione qui nell'internet point di gran via de les corts catalans.

A presto,
con i 33 anni, il computer e gli accenti.

Intanto, buona pasqua.
Che l'agnello sia con voi.
CP

22.3.10

PuntoPerPunto


Saro’ rapida.

1- Come non tarderete ad accorgervi, sto utilizzando una tastiera spagnola, per cui posso scrivere España quante volte voglio ma adiós agli accenti italiani. Questo ci porta diretti al punto numero
2- Non ho il computer con me. Il caro vecchio portatile romano ha tentato il suicidio pochi giorni prima della mia partenza (sara’ stato il suo modo di dirmi addio?). Ora e’ in cura intensiva nella capitale, vediamo se riusciro’ a recuperarlo o se dovro’ sobbarcarmi l’investimento di nientepopodimenoche un nuovo computer. E qui arriviamo al numero
3- Sono in un locutorio, cioe’ in un internet point. Arrivata fin qui solo per l’amore che ho per voi, ‘che sono le 20.35 e la vostra eroina e’ un po’ stanca (e il locutorio un po’ squallido) perche’, roba da matti, mica sta qui a ballare la macarena. Cio’ ci conduce al
4- Sto lavorando. Anche abbastanza, a dire il vero. ‘Sti spagnoli ci danno sotto col trabajo. E io prima delle nove e’ difficile che arrivi a casa. Il venerdì abbiamo mezza giornata, ma al venerdì ci devi arrivare vivo. E non so perche’ ma il word spagnolo del locutorio da cui vi scrivo ha in archivio la parola venerdì, in italiano e con l’accento giusto. Posso scrivere quindi venerdì ed España quante volte voglio. Bene, andiamo al
5- Non e’ una novita’, ma voglio ripeterlo: Barcellona e’ bella. E’camminabile. Cioe’ e’ bello camminare qui. E, suppongo, sara’ ancora piu’ bello quando smettera’ di avere un clima londinese, a tratti finlandese. Perche’ si, la vostra eroina e’ sbarcata in citta l’8 marzo, il giorno della grande nevicata che ha messo in ginocchio l’efficentissima rete di trasporti catalani insieme al mio, gia’ traballante, sistema nervoso. E si’, avete letto bene: Barcellona-neve-marzo. Non succedeva da non so quanti anni. Hanno aspettato me per il bis (sara’ stato il loro modo di dirmi benvenuta?). La mia valigia carica di ghirlande di fiori e ciabatte infradito si e’ rivelata quindi di sconcertante inutilita’ qui in riva al mare del caliente Mediterraneo. Tremanti di freddo e un po’ esauriti concludiamo col punto
6- Non e’ solo bella, Barcellona e’ anche metrabile, nel senso che c’e’ una metro sconfinata, roba che voi umani (anzi voi romani) non potete neanche immaginare. E la vostra eroina, dopo una vita in sella a un motorino, si ritrova qui a macinare ore nel sottosuolo della citta’. Che e’ un osservatorio privilegiato sul mondo, ma neanche questa e’ una novita’. Non perdiamo altro tempo e finiamola qui.
Appena recupero un computer vi aggiorno con dovizia di dettagli su questo e su tanto altro. Che questa citta’ non e’ solo bella e metrabile e io ho la testa piena di parole e voi, grazie, mi aiutate a mettere ordine nelle emozioni.

Hasta pronto.



RICETTA LEGGIBILE

E’ tardi, sono nel locutorio e sprovvista di accenti. Niente ricetta. Vi lascio pero’ con un estratto da un libro di Manuel Vázquez Montalbán (quello di Pepe Carvalho, per capirci) che sto leggendo in questi giorni. Si chiama “Los mares del sur” (I mari del Sud).
Casi della vita, nel libro c’e’ una descrizione bellisima di quello che si prova, spesso, guardando gli altri passeggeri nella metro. Il libro e’ ambientato a Barcellona come quasi tutte le storie di Carvalho, ma in questo caso non e’ importate. Il pezzo che qui vi incollo e’ una descrizione meravigliosamente scritta, amara e un po’ pessimista che vale per ogni metro, per ogni passeggero, in ogni angolo del mondo.

Io ancora non sono ne’ amara ne’ pessimista, mi godo l’osservatorio sul mondo con gusto e sorrido agli sconosciuti dalle facce tristi. Ma il brano e’ comunque meraviglioso e ve lo voglio regalare. E’ in spagnolo, qui nel locutorio le mie possibilita’ di ricerca on-line sono, capirete, piuttosto limitate. Se la lingua di Cervantes vi e’ totalmente inaccessibile forse potete trovarlo in italiano o, ancora meglio, comprarvi il libro. E’ un libro di tanti anni fa, si trovera’ in giro in edizione straeconomica.

Se invece ve ne intendete di ñ e compagnia (o volete provarci), eccolo qui:



"El metro, cualquier metro, es un animal resignado a su esclavitud de subsuelo. Parte de esa resignación impregna los rostros aplazados de los viajeros, teñidos por una luz utilitaria, removidos levemente por el vaivén circular de la máquina aburrida. Recuperar el metro fue recuperar la sensación de joven fugitivo que contempla con menosprecio la ganadería vencida, mientras él utiliza el metro como un instrumento para llegar al esplendor en la hierba y la promoción. Recordaba su cotidiana sorpresa joven ante tanta derrota recién amanecida. Recordaba la conciencia de su propia singularidad y excelencia rechazando la náusea que parecía envolver la mediocre vida de los viajeros. Los veía como molestos compañeros de un viaje que para él era de ida y para ellos de vuelta.
Veinte o veinticinco años después sólo era capaz de sentir solidaridad y miedo.Solidaridad con el viejo barbado de tres días y vestido con traje bicolor, con una mano enganchada al skay pringoso de un portafolios lleno de letras protestadas.Solidaridad con las cúbicas mujeres samoyedas que amurcianaban una incoherente conversación sobre el cumpleaños de tía Encarnación. Solidaridad con tanto niño pobre y pulcro llegado tarde al obsoleto tren emancipador de la cultura. Ejercicios del lenguaje. Diccionario Anaya. Muchachas disfrazadas de Olivia Newton-John, en el supuesto caso que Olivia se vistiera aprovechando las liquidaciones fin de temporada de grandes almacenes de extrarradio. Muchachos con máscara de chulos de discoteca y músculos de condenados al paro. Y a veces la reconfortante osamenta de un subejecutivo de inmobiliaria con el coche averiado y el propósito de utilizar transportes públicos para adelgazar y ahorrar para medios whiskies de mediana calidad, servidos por un insuficiente camarero con caspa y uñas negras sin otro encanto que saber llamarle a tiempo don Roberto o señor Ventura. El miedo a ser todos víctimas de un mediocre y fatal viaje de la pobreza a la nada. El mundo era un paisaje de estaciones semejantes a retretes sucios recubiertos por azulejos tiznados por la invisible suciedad de la electricidad subterránea y de los alientos agrios de las masas. La gente que subía y bajaba parecía cumplir el ritual de un relevo previamente acordado para justificar el rutinario ajetreo de la máquina. Carvalho subió de dos en dos los escalones de metal mellado y cariado para salir a una encrucijada de anchas calles embutidoras de camiones prepotentes y autobuses deshormados. Que se note tu fuerza. Vota comunista. Vota PSUC. El socialismo sí tiene soluciones. Contra el reformismo. Vota al Partido del Trabajo. Los carteles ocultaban insuficientemente muros de ladrillos prematuramente envejecidos y de rebozados apedazados. Sobre las vallas publicitarias la pulcritud rica de la propaganda gubernamental: El Centro cumple, como una propuesta de vacaciones pagadas. Y por encima de la artesanal propaganda militante, de la sofisticada propaganda de un gobierno de jóvenes leones con el pelo cortado a la navaja por un barbero de firma, cerca ya del cielo color de barato metal fundido, rótulos triunfales comunicaban: Está usted entrando en San Magín.”
(Manuel Vázquez Montalbán. Los mares del sur. p. 109-110)







8.3.10

DiCani&DiAltreAmenità

Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi, e sul coraggio dei tuoi polmoni.
(Jesse Owens)




"Cori Nano, cori."
A dover correre, rigorosamente con una r sola, è un incrocio tra un bassotto e chissà quale altro miscropico meticciato canino. Nano, mai nome fu più adatto, è il cane del fruttarolo del vicolo trasteverino dove ho vissuto per 5 anni e 4 mesi, in un palazzo dal portone verde a Vicolo del Buco (e mai indirizzo fu più adatto a descrivere le dimensioni di una casa).

Sotto le finestre del buco, dicevo, scorrazza il fruttarolo, ormai in pensione, e Nano.
Che Nano basta vederlo per capire che con quelle gambette corte e storte sarebbe incapace di corere anche se volesse. Ma il fruttarolo non molla, ci crede, "namo un po', forza, cori dai", il suo Nano gli sembra un levriero, un spirito leggiadro pronto a spiccare il volo, la reincarnazione di Jesse Owens. O forse, più probabilmente, non ha molto di meglio da fare che gridare "cori Nano, cori" tutto il giorno, tutti i giorni, dalle 8 del mattino fino al tramonto, senza eccezioni.

Per 5 anni e 4 mesi, ogni mattina, i miei risvegli sono stati scanditi dalle rumorose esternazioni del fruttarolo, e dalla pazienza di Nano che guarda immobile il suo padrone incitarlo ad improbabili attività ginniche. Tutto il giorno, tutti i giorni, dalle 8 del mattino fino al tramonto.
E dalla pazienza di tutti gli altri, 'che il fruttarolo ha un cane poco sportivo ma ha una voce possente, e tutta Vicolo del Buco e dintorni lo sente quando passa, e tutti si chiedono "ah fruttaro', ma 'sto Nano, secondo te, 'ndo voi che va?".
E chiedete a Nano, e alla sua santa pazienza, se non è così.

Il mio aereo parte domani alle 16.40. Dopodomani mi sveglierò a Barcellona. E ora, nella notte prima della corsa, mi chiedo chi accompagnerà adesso i miei risvegli spagnoli. Quali voci sentirò dalla strada? Vivrò in una casa silenziosa e dovrò riabituarmi alla quiete? O forse i vicini avranno un cane bassotto che cercheranno di far correre? Si chiamerà Nano?

Io intanto corro, con ben due r, Trastevere è già lontana, un buco nella memoria, e penso a cose strane. Alle vicende di Nano, che mi mancheranno, vai a capire perché. Mi mancheranno come i sanpietrini sbilenchi su cui romperti i tacchi, come il colore grigio-verde-muffa del Tevere, come gli insulti della gente nel traffico, come le commesse scortesi nei negozi, come il caos di questa città matta e rumorosa, dove non si corre mai ma dove inciampi sempre.

Come i vicoli minuscoli del centro che scopri un giorno per caso, come l'odore di pane che esce dai forni la notte, come la storia che suda da ogni pietra, come i prati verdissimi di Villa Pamphili e la casa dei miei, come le foglie sul lungotevere in autunno, come le colonie di gatti appoggiati sulla città con prepotenza, come i giri in motorino per le strade deserte quando le strade sono deserte, come i tavolini dei bar dove incontri i tuoi amici e ti dici sempre le stesse cose ma le stesse battute ti fanno ridere sempre.
Come i tramonti assurdi di questa città bellissima. La mia città.


Niente ricetta oggi. Solo il mio abbraccio e il mio grazie. Che devo dire grazie a un sacco di gente, ma coi discorsi tristi non sono brava io.
Che poi non è manco un discorso triste, che Nano è sempre lì che non core, che io vado solo dietro l'angolo (per altro contentissima), che le persone importanti corrono con tutte le r al posto giusto. Corrono con me. Che loro non mi mancheranno affatto, perché non le sto lasciando.
Ma questo, ecco, è un discorso che non so fare. 

Buone corse, ci sentiamo da dietro l'angolo.
CP


p.s. quello nella foto è il portone verde del Vicolo del Buco da dove per 5 anni e 4 mesi ho aspettato invano che Nano iniziasse a corere. La foto l'ho scattata il giorno che mi sono chiusa quel portone alle spalle per l'ultima volta, e ho iniziato a correre.
Nano nella foto non c'è, ci sono i gatti del quartiere. Ma questa è un'altra storia.

26.2.10

ScatoleCraniche




Chi  vuol  muovere il  mondo, prima  muova  se  stesso. 
(Socrate)






Teorema del traslocatore felice (con speciale applicazione algebrica per chi cambia paese).

Premesso che:
1- la quantità di cose inutili accumulate è sempre superiore al numero di cose utili smarrite chissà dove.

2- la quantità di vestiti che non mettete più, non avete mai messo o, tristemente, non vi entrano più è sempre superiore alle pochissime cose che vi stanno davvero bene. Queste ultime sono in gran parte perse e/o danneggiate e/o irrimediabilmente fuori moda.

3- la quantità di libri che volete conservare per il giorno in cui avrete una casa tutta vostra con un'enorme libreria è inversamente proporzionale alla somma degli stipendi degli ultimi 10 anni. Minore, cioè, è la ricchezza accumulata, maggiore sarà la quantità di libri che non saprete mai dove mettere perché per acquistare la succitata casa tutta vostra con annessa enorme libreria ci vorrà una somma uguale o maggiore a 48,5 anni di stipendi, al quadrato.

4- la quantità di lettere d'amore, foto romantiche, bigliettini carichi di tenere promesse è sempre superiore al numero di persone che hanno mantenuto suddette promesse e/o al numero di persone le cui promesse vi interessa ricordare.

5- la quantità di cose importanti che andranno smarrite durante il trasloco è sempre superiore a quelle che riuscirete a mettere in salvo, e che poi comunque dimenticherete da qualche parte.


Date le premesse, si evince che la variabile trasloco T è la risultante di:

T = (q + c) - (s * m)

T è quindi uguale alla somma di quantità più caos meno lo spazio moltiplicato per la massa di oggetti.


Il teorema è perciò la dimostrazione empirica dell'assioma di Scatulus (matematico napoletano del 125 a.C.): "Nel dubbio, butta tutto".

Le cose davvero importanti non entrano in una scatola. Sono altrove, sono sempre con te. (Scatulus sarebbe stato d'accordo)



DOVE É FINITO QUEL COSO?
Pasta
Tutto il resto

Il traslocatore o, come nel mio caso, l'abbandonatore di suolo patrio munito solo di uno zainetto, è solito trascorrere in solitudine le ultime giornate nella casa che sta per abbandonare per sempre. Gli amici fanno sporadiche comparizioni, ti aiutano a spostare un ferma carte (che perderanno un minuto dopo) e poi spariscono al grido di "e che vuoi che sia, in fondo hai poca roba". Trascurato e confuso, il traslocatore solitario  cessa di fare la spesa almeno 5 giorni prima dell'abbandono del tetto, giorni in cui si dedica a svuotare la dispensa con furia, producendosi in improvvisazioni culinarie da brivido (de paura). Il traslocatore impara presto che la pasta rimasta è abbinabile praticamente a qualunque cosa, se non ti formalizzi troppo. A quel punto il traslocatore in genere deperisce, si deprime e, nel dubbio, butta tutto (anche la pasta).
Vi penso con amore. (chi mi allunga un tramezzino?)

P.S. per la rubrica "forse non tutti sanno che ma non gliene frega neanche niente", in inglese traslocare si dice "to move", che è ovviamente lo stesso verbo che si usa per dire muovere. 'Sti cavoli direte voi, e in effetti non è un granchè come scoperta. Però aggiungo che "to move on" vuol dire andare avanti, anche in senso figurato, voltare pagina. La parola inglese per trasloco richiama quindi il concetto di movimento, una processione in avanti. Sarà stupido, ma a me sembra bello.
Ora scusate devo andare, I'm moving.

Playlist in movimento
The Rolling Stones - I'm moving on
Jet - Move on

11.2.10

CiaoAmoreCiao

Mattino
Era necessario un addio, perché capissi,
che non c’è un addio per noi.
Per sempre porterò in me quest’alba
come segno di bruciatura.
Alzàti sul far del giorno,
partimmo verso l’aeroporto grigio
ed eravamo contenti, perché era così lontano.
La mia ultima parola fu un sorriso.
E sopra di noi sorgeva con l’addio
l’incontro vero e l’amore.

(Blaga Dimitrova)





Siete pronti, siete caldi? Anch’io.
Avete presente la fuga dei talenti? Ecco, mescolatela con la fuga da Alcatraz, aggiungete un pizzico di galline in fuga, spolverate con il punto di fuga e annaffiate con una fuga di notizie: et voilà, la ricetta della fuga dei cervelli (fritti), secondo CuocaPrecaria.

Che poi manco fuggo, altrimenti sembra che vado via senza pagare, una fuga all’inglese, una ritirata strategica. Non sto sgattaiolando dalla porta del retro, non dico scendo un attimo a comprare il giornale, non salto sul primo treno travestita da Roger Rabbit. Mi allontano con discreta eleganza, saluto agitando la manina, ascolto gli amici promettermi che sentiranno la mia mancanza, perdono i nemici, mi accomiato con gentilezza dai luoghi della mia quotidianità e a quel punto, se non serve altro, vado.

Che poi ho persino trovato un lavoro, roba da matti. Ragazzi, io nella vita di colloqui ne ho fatti: individuali, di gruppo, motivazionali, tecnici, improvvisati. Ho fatto colloqui in uffici, nei bar, al telefono, via mail. Ho fatto colloqui in cui mi hanno chiesto di raccontare barzellette, di fingermi amministratore delegato di un’azienda sull’orlo del fallimento e di improvvisare un piano di ristrutturazione, di raccontare di me in varie lingue, di dirgli come mi vedo tra 2 anni, tra 5, tra 10, tra 20. Ho illustrato i miei pregi e difetti con la malizia di un piazzista di enciclopedie, ho descritto le mie ambizioni con la calma strategica di un politico rivoluzionario attento però anche ai bisogni degli elettori più conservatori, ho sorriso empatica, stretto mani con assertiva dolcezza, aspettato risposte come una Penelope ottimista.
Ragazzi, io di colloqui ne ho fatti, ma mai così tanti e tutti insieme come per questo lavoro. Ho mandato la candidatura un anno fa, e in questi 12 mesi ci sono stati colloqui telefonici, prove scritte, test di personalità, interviste in sede durate ore… Una catarsi di colloqui che sembra organizzata da una divinità greca in vena di scherzi. La Nemesi del colloquiatore professionista.
Ma tant’è, alla fine mi hanno preso (e qui potete applaudire).
Ragion per cui, se non serve altro, vado.

Ma tranquilli, vado in Spagna, nel momento esatto in cui si grida alla fine del “miracolo spagnolo”. Con un tempismo degno dei più avveduti analisti finanziari, mi trasferisco in terra iberica quando questa rischia la bancarotta. Perfetto così, non ce la farei a vivere in un paese con un’economia stabile e fiorente, sai che noia.
Vado a Barcellona, una città bellissima, che ho sempre amato e dove ho sempre sognato di vivere (e qui potete commuovervi).
Mi trasferisco a breve, ma non mi scordo di voi. CocineraPrecaria continuerà dalla Spagna. Sono sempre io, solo dall'altro lato del Mediterraneo.
Ora, se non serve altro, vado.


CERVELLI FRITTI (E IN FUGA)

Ecco, qui ci vorrebbe la ricetta del cervello fritto. Ma io il cervello fritto non l’ho mai cucinato, mi sono limitata a mangiarlo qualche volta, e, se non ti soffermi troppo a pensare che stai masticando i neuroni di una mucca ciclotimica, mi è anche piaciuto. A senso direi che ci si procura del cervello di vitello, lo si manipola in qualche maniera splatter, si infarina, si passa nell’uovo sbattuto e poi si frigge.
Ma direi che lascio a voi la graziosa incombenza.
Io, se non serve altro, vado.

La solita strada, bianca come il sale
il grano da crescere, i campi da arare.
Guardare ogni giorno
se piove o c'e' il sole,
per saper se domani
si vive o si muore
e un bel giorno dire basta e andare via.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.



Playlist fuggevole
Luigi Tenco – Ciao amore ciao


23.1.10

EroiFlessibili









La contemplazione è un lusso, l'azione una necessità. 
(Henri Bergson)









La flessibilità è una cosa positiva, tranne forse quando viene praticata a livelli agonistici. Come nel mio caso.

Prendiamo il 2009, per esempio, quando la vostra fino ad allora tranquilla e precaria lavoratrice della televisione inciampa nella crisi economica mondiale. Niente più contrattini, niente più programmi televisivi inutili su cui cincischiare e, soprattutto, niente più soldi. “E che sarà mai, basta inventarsi qualcos’altro”, proclama con studiato ottimismo la vostra fino ad allora tranquilla e precaria lavoratrice della televisione.
Il qualcos’altro è consistito in una costellazione di lavori, i più variegati, i più strani, spesso anche i più inutili. Come un Clark Kent del precariato, ho infilato un mantello rosso e ho piroettato nei cieli per salvare l’umanità e il mio conto in banca. Come un mister Fantastic, mi sono allungata in territori sconosciuti usando le mie elastiche competenze. Talmente elastiche che ora potrei diventare docente di ruolo nel corso di laurea di Teorie e Tecniche del Multitasking Acrobatico. 

Nel 2009 quindi la vostra fino ad allora tranquilla e precaria lavoratrice della televisione ha rivestito i panni di, in ordine sparso: traduttrice per improbabili siti web, addetta accrediti stampa, cultore della materia per esami universitari, promoter per agenzia di hostess, cuoca a domicilio, insegnante di inglese in una scuola di lingue, insegnate di inglese per lezioni private e, last but not least, telefonatrice - per due intensi giorni - in un call center outbound (al terzo giorno ho capito che c’era un limite a tutto, anche alla sfiga). Ah, una sera ad Albenga, non chiedetemi come, mi sono persino ritrovata a calcare un palcoscenico leggendo poesie in inglese tratte dall’antologia di Spoon River. 
Se cercate il mio nome su google ora appaio come attrice. Ma in effetti ci vuole un certo istrionismo per riciclarsi così bene in ogni ruolo possibile.

Nel 2009 mi mancava solo di candidarmi a premier e di far partorire una donna in ascensore, per il resto ho ricoperto praticamente tutte le mansioni esistenti.
Nel 2009 se qualcuno mi chiedeva “che lavoro fai?” mi fingevo straniera, sorridevo con aria svanita e domandavo candida “per piassa Navouna, essere queste diressioune ciusta?” prima di sparire per sempre nella nebbia.
Nel 2009 se incrociavo uno specchio fissavo l'immagine incuriosita e chiedevo alla tipa dall’altra parte “ma io e te ci conosciamo?”, ottenendo come risposta lo stesso sguardo perplesso. A quel punto bofonchiavamo entrambe uno “scusami, devo averti confusa con qualcun altro” e ci voltavamo le spalle imbarazzate.

Ora grazie al cielo il 2009 è finito, la crisi c’è ancora ma accenna, timidamente, a migliorare e io comincio un po’ a rilassarmi. Certo, una volta innescata la miccia del Multitasking Acrobatico è difficile ritirarsi dalle scene, bisogna farlo gradatamente. Il pubblico sentirebbe la tua mancanza se sparisci troppo all’improvviso. Per non lasciare orfano nessuno, quindi, giovedì scorso ho fatto esami all’università, venerdì ho dato lezioni private di inglese e oggi ho lavorato come promoter. Non ci facciamo mancare niente qui.
La vita del supereroe è stancante, devo dire. Ma durante il mio lunghissimo 2009 ogni tanto mi davo una pacca sulla spalla, pat pat, e mormoravo: “brava, potranno accusarti di tutto ma certo non potranno dirti che sei poco flessibile”.
Ora però vorrei appendere il mantello al chiodo e riposarmi un po’. Se non serve altro, io andrei.

Oggi ho incrociato di nuovo la tipa dello specchio. Ha l’aria stanca ma ha la faccia simpatica.
Ci siamo sorrise, mi sembra un buon inizio.


VODKA E KRYPTONITE
Vodka
Liquirizia pura in polvere

Tra le altre cose, nel 2009 una volta mi sono travestita da tipa-che-lavora-nella-ristorazione-chic per accompagnare un’amica all’inaugurazione chic dell’aperitivo chic di un albergo chic. In pratica ero un’imbucata, ma molto chic. Tra i vari finger food inutili che propinavano, mi rimase impressa una degustazione di vodka accompagnata da liquirizia pura. Pensai che per continuare con la mia vita stressante da super eroe sarei dovuta diventare un’alcolizzata, magari in versione chic; almeno trovavo il modo di distrarmi dai miei 438 lavori. Ancora non sono diventata alcolizzata (per quanto mi impegni) ma lo shot super chic di vodka e liquirizia voglio provare a riprodurlo, direi che quanto meno me lo sono meritato.
Semplicemente si faceva una striscia con la liquirizia in polvere, ci si muniva di cannuccia e si aspirava la liquirizia con la bocca. Subito dopo si beveva un bicchierino di vodka ghiacciata. Era un sapore freschissimo, come essere buttati nudi in una montagna di neve. Come raggomitolarsi sul divano dopo una giornata stancante. Come sorridere al tuo super eroe e concedergli un giorno di libertà. Come un pat pat sulla spalla, e nemmeno un rimpianto.


(…)
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato -
e un ridere rauco e tanti ricordi,
e nemmeno un rimpianto.

(Il suonatore Jones, dall’antologia di Spoon River – Traduzione F. Pivano)